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Resoconto workshop su “Azioni, obbligazioni e strumenti finanziari”

Giovedì 14 luglio si è tenuto un seminario ristretto nel corso del quale si è discusso dei mezzi di reperimento del capitale nelle spa, alla luce della riforma del diritto societario, e della nuova figura degli strumenti finanziari.

All’incontro, dialettico e colloquiale, coordinato dal Prof. Gustavo Visentini, hanno partecipato i Professori Niccolò Abriani, Gianluca Brancadoro, Leonardo Di Brina ed Eugenio Ruggiero, i cui spunti hanno consentito un approfondito e proficuo dibattito sulle questioni oggetto di studio.

Gli appunti, preparati per l’occasione dal Prof. Visentini, hanno rappresentato il punto di partenza per conoscere le opinioni degli illustri giuristi, in quanto sintesi, come è stato evidenziato, tra la disciplina introdotta dalla riforma del 2003 e la vecchia disciplina che, sebbene sostituita dalla nuova normativa, costituisce la base per comprendere e analizzare quella attuale.

Nel corso dei lavori sono stati presi in considerazione vari aspetti relativi ad azioni, obbligazioni e strumenti finanziari, primo fra tutti la possibilità di considerare il principio di tipicità degli strumenti per reperire capitale come principio ancora attuale: dalla tipicità dei contratti deriva la tipicità della società per azioni con l’ovvia conseguenza che la disciplina possa essere derogata solo se espressamente previsto. La tipicità viene richiamata a sottolineare la necessità di tutelare il pubblico dei risparmiatori, attraverso la previsione di strumenti disciplinati nel dettaglio e il cui contenuto solo limitatamente è lasciato all’autonomia privata. L’esigenza di tutelare il pubblico dei risparmiatori non è, invece, avvertita nella società a ristretta base azionaria: la mancanza di raccolta del risparmio presso il pubblico lascia alla società, dunque ai soci, la piena autonomia nella scelta del modo di reperire capitale. Il concetto di tipicità evocherebbe a contrario l’atipicità, spingendo gli interpreti a cercare di individuare altre categorie di strumenti di raccolta del risparmio cosiddetti atipici o categorie di azioni fornite di diritti che interferiscano con la struttura della società (ai sensi dell’art. 2364, 4).

L’unico limite alla creazione di strumenti atipici sarebbe dato dal divieto del patto leonino (art. 2265 c.c.); ovvero, secondo altri, dal diritto di voto collegato all’azione: sarebbero atipiche, dunque, tutte le azioni non dotate di diritto di voto.

Il diritto di voto, infatti, rappresenta una tutela per l’azionista: chi rischia capitale non solo vuole il controllo della società, ma vuole partecipare in modo influente alla vita sociale, gestendo il proprio rischio.

Tra gli strumenti di raccolta annoverati dalla legge, le azioni di godimento sono state oggetto di riflessione: ci si è chiesti se esse siano titoli strettamente legati al rimborso di azioni annullate in occasione di riduzione volontaria del capitale sociale ovvero se possano essere emesse anche in occasione di una riduzione per perdite, ai sensi degli artt. 2446 e 2447 c.c., così da conservare il diritto a partecipare a future distribuzioni di dividendi in ordine a valori patrimoniali latenti (impliciti nei criteri prudenziali di appostazione delle voci del netto).

Altra categoria sono le azioni dotate di diritto di voto cosiddetto limitato. La questione se la limitazione debba intendersi come diretta ad escludere il voto nell’assemblea in seduta ordinaria ovvero riconoscere, ai possessori di tali titoli, il diritto di voto solo per determinati argomenti: forse conclusione difficile da sostenere, essendo oramai pochissimi gli argomenti lasciati alla competenza dell’assemblea ordinaria (nomina degli amministratori, distribuzione degli utili e approvazione del bilancio). Per altro verso, la limitazione di cui all’art. 2351 potrebbe essere riferita alle sole competenze legali, configurando i titoli azionari chiamati a deliberare anche in ordine ad autorizzazioni su atti degli amministratori contemplate nello statuto ex art. 2364, n. 5, come «azioni a voto maggiorato» (senza alcuna limitazione dunque delle altre categorie azionarie). Ci si chiede quale l’idea del legislatore, se quest’ultimo era l’intento.

Accanto alle azioni, altro strumento cui la società per azioni ricorre per reperire finanziamento sono le obbligazioni, titoli di debito, la cui emissione, per legge, è fissata nel limite del doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili (art. 2412 c.c.). Non si comprende il motivo del limite quantitativo, vista la possibilità di iscrivere ipoteca. Il limite, infatti, poteva essere superato garantendo le obbligazioni con titoli di stato o con ipoteca sugli immobili di proprietà della società.

L’esigenza, forse, è quella non di mantenere l’equilibrio finanziario della società, bensì di contemperare la volontà di reperire titoli con il fatto che questi abbiano una certa copertura. Tale aspetto emergerebbe soprattutto nelle società quotate in borsa, in quanto i titoli si reperiscono sul mercato. La disciplina resta incongruente. Con la previsione del limite ex art. 2412, I, si è, infatti, accentuato il difetto della pregressa disciplina che si riferiva al capitale versato ed esistente.

Gran parte della discussione si è, però, incentrata sulla nuova figura introdotta dalla riforma del 2003: gli strumenti finanziari. Nella legge delega il legislatore ha espresso la volontà di creare nuovi strumenti partecipativi e non del rischio di impresa, al fine di reperire finanziamento. Il risultato non è certo dei più soddisfacenti. A fronte di un titolo della sezione del codice civile dedicata ai soli strumenti finanziari partecipativi, il legislatore ha previsto la possibilità di emettere strumenti finanziari, senza altra specificazione, all’art. 2346 c.c., ingenerando così il dubbio se la disposizione si riferisca ai soli strumenti partecipativi o anche a quelli non partecipativi. La disciplina degli strumenti partecipativi sarebbe, ecco una delle tante incongruenze, quella delle obbligazioni, titoli di debito per eccellenza: l’art. 2411, ultimo comma, c.c. fa salva la possibilità di emettere strumenti, comunque denominati, il cui rimborso del capitale è condizionato all’andamento economico della società. La sola previsione della disciplina di cui all’art. 2411 e l’intitolazione della sezione dedicata alle azioni e agli altri strumenti finanziari partecipativi fa propendere per la soluzione che quelli previsti dal codice siano soltanto strumenti che partecipano al rischio di impresa. Conclusione non del tutto pacifica: gli strumenti partecipativi sarebbero richiamati soltanto dall’art. 2411 c.c., che sarebbe norma che funge da “spartiacque”.

Il dubbio è se siano o meno strumenti destinati alla circolazione. Lo strumento circola secondo le regole dei valori mobiliari di massa, ma gli unici strumenti ammessi alla circolazione di massa sono azioni e obbligazioni, con ciò escludendo gli strumenti diversi da essi. Il divieto di circolazione secondo i valori mobiliari di massa giustificherebbe la disciplina delle azioni e delle obbligazioni. L’operazione dunque si rifarebbe all’associazione in partecipazione, in quanto il fenomeno si esaurirebbe nel rapporto colui che sottoscrive l’affare, associato, e la società, associante. Il fenomeno richiama l’operazione sottesa all’emissione delle azioni di risparmio, dalla quale differisce soltanto per essere quest’ultima eseguita con l’emissione di valori mobiliari, destinati a circolare in quanto titoli di massa.

Certamente con la loro introduzione è stata ribaltata la visione di tutto il sistema di metodi per reperire capitale.

Senza dimenticare che se da un lato l’art. 2346 c.c. esclude il diritto di voto degli strumenti finanziari nell’assemblea generale, l’art. 2351 c.c. non solo riconosce agli strumentisti il diritto di voto limitato a particolari argomenti, ma riconosce loro, altresì, la possibilità di nominare un amministratore o un sindaco indipendente.

Per ciò che attiene alla nomina del componente dell’organo amministrativo o di controllo, si ritiene, quasi pacificamente, che l’indipendenza vada considerata come indipendenza dalla società, e segnatamente dal suo organo amministrativo e dagli azionisti di controllo, per garantire agli strumentisti la nomina di una figura che in nessun modo faccia gli interessi dei soci piuttosto che i loro. Si è avanzata, peraltro, anche l’opinione che si tratti della nozione di indipendenza prevista per gli amministratori del sistema monistico e dal TUF per gli amministratori indipendenti: e dunque dell’indipendenza, rispettivamente, di cui agli artt. 2399 e 148 Tuf.

Meno pacifico è il raccordo dell’art. 2346 e dell’art. 2351 c.c. L’art. 2346 sembra escludere, senza possibilità di obiezione, il diritto di voto nell’assemblea generale, ma l’art. 2351 nulla dice in proposito. Al riguardo, c’è chi riconosce agli strumentisti un diritto di voto limitato a particolari materie, da esercitare, però, nell’assemblea generale, solo laddove la portata dello strumento sia determinata all’interno dell’atto costitutivo. Dall’altro lato, invece, c’è chi ritiene che in ogni caso sia escluso il diritto di voto nell’assemblea generale e che gli strumentisti abbiano solo il diritto di voto in particolari materie da esercitare nelle apposite assemblee speciali, riconoscendo loro un potere di veto certamente più forte del voto in assemblea generale.

Sull’interpretazione degli strumenti finanziari molte sono le considerazioni che possono essere poste. Riesce difficile indicare un unico indirizzo, un’unica chiave di lettura della disciplina, prestandosi la stessa alle più disparate interpretazioni.

Infine l’utilissimo confronto con l’esperienza statunitense. Essa è spesso utilizzata come “cartina di tornasole” per comprendere determinati fenomeni presi in considerazione dall’esperienza italiana.

Negli Stati Uniti il sistema federale condiziona il modus operandi.

Ciò che emerge dall’esperienza americana è che nella società l’unico limite è emettere azioni con diritto di voto illimitato. Presenti questi titoli, l’autonomia privata è libera di creare altre categorie di strumenti senza alcuna limitazione. Il principio one-share, one-vote è frutto di uno scontro Federazione – Stati, che, ad oggi, permea il sistema di voto nelle corporates americane, così come nelle società per azioni italiane. Il principio un’azione, un voto avvicina la spa ad una concezione contrattuale, ma man mano che si riduce la parte di capitale di rischio che possiede il diritto di voto, questa parte di capitale assume la posizione di gestore fiduciario dell’altra parte di capitale: la spa, allora, assume una dimensione istituzionale e non più contrattuale.

Diritti inviolabili sono riconosciuti agli obbligazionisti nel sistema statunitense. Le obbligazioni sono quelle che in America chiamano bonds e viene nominato un trustee a tutela dei diritti degli obbligazionisti.

Ogni Stato ha le sue blue skys laws, leggi che possono entrare nel merito, disciplinare la materia.

Come si evince da queste poche, pochissime pagine, notevole è stato l’apporto di questa giornata di studio. Essa non solo è stata un’occasione di confronto, ma è stata anche l’occasione per riflettere su una serie di aspetti che interessano il nostro sistema commerciale.

In corso di pubblicazione, gli appunti degli illustri giuristi che hanno partecipato alla giornata.